UN AMICO CHE NON SI DIMENTICA
Di Vincenzo Fasciglione
(Estratto dal libro:" FROSOLONE - Viaggio nel Dolce Molise", Edizioni "Lo Stiletto",
Napoli)
Dopo aver ammirato le maestose guglie del Santuario di Castelpetroso - in via di ultimazione
grazie alle rimesse dei compaesani emigrati negli States - voltai a sinistra, all'altezza di
Cantalupo, nome che evoca un dolce e profumato frutto dei campi, diretto a Frosolone.
Deviai per ammirare la dolce teoria di tetti di Macchiagodena adagiati sul declinare della
montagna, mi soffermai ad ammirare le fattezze degli angeli prigionieri sotto gli archi di
Sant'Angelo in Grotte.
Giunsi a Frosolone dopo aver superato numerosi tornanti fra distese aride e petrose e fazzoletti
di lussureggianti coltivazioni di grano. Grano che a luglio era biondo, di un biondo arancione
che, nel colore e nelle movenze imposte dal venticello, ricordava le dolci chiome di fanciulle in
fiore.
E fu li', a Frosolone, che vissi l'emozione e la gioia della trebbiatura, su di un'aia, fra il
contenuto canto dei lavoranti ed il loro attento sguardo, teso a non perdere neppure un chicco del
prezioso dono della natura. Quante lezioni si ricevono da uomini semplici. Conservo ancora
nelle narici e nel cuore il profumo di quella operazione.
Giunsi a Frosolone accolto dal dolce e discreto canto della fontanella in piazza. Chi non conosce
Frosolone, immagina una fontana con zampillo, magari con monumento, oppure con pesciolini
rossi. Niente di tutto questo.
La fontana della piazza di Frosolone e' una costruzione in pietra
bianca dal cui frontespizio quattro cannucce versano acqua nelle sottostanti vasche rettangolari
che altro non sono che abbeveratoi per mucche, cavalli o pecore, perche' a Frosolone vi e'
grande rispetto per gli animali e si conosce la preziosita' dell'acqua.
Ai due fianchi della fontana, la restante parte della costruzione e' formata da due stanzoni in cui
l'acqua defluisce in grossi lavatoi di pietra nei quali le donne portano (o forse portavano) la
biancheria da lavare.
Ricordo quelle donne con il volto segnato dagli stenti e dalla severita' degli agenti atmosferici,
con le mani nodose per le fatiche, silenziose. Usavano il linguaggio essenziale ed arcaico; la
giumenta o il somaro, per esempio, erano "la vettura".
Sul caseggiato della fontana troneggiava una effigie della Vergine Maria sotto cui si leggeva:
"La Vergine protegge (o protegga) il Regime fascista". Non ricordo se era un'affermazione o
una preghiera, ma sta di fatto che, dopo tanti anni che il Regime fascista non esisteva piu' e
dopo le tante dispute politiche che avevano infiammato l'intera Penisola, compreso Frosolone,
nessuno aveva rimosso la scritta, certamente non per simpatia verso il passato Regime, ma
perche' a Frosolone non vi e' tempo da perdere, la gente e' concreta e va direttamente alle cose
serie.
Quando giunsi a Frosolone, per la strada non vi erano uomini; erano in campagna, al pascolo,
oppure nelle fabbriche di forbici e coltelli. Neppure i ragazzi si vedevano, impegnati ad aiutare i
genitori oppure a scuola. In pochissimi, e solo di giorno festivo, giocavano nella piccola Villa
Comunale dove era conservato, come cimelio, un piccolo pezzo di artiglieria.
Durante il mio soggiorno, ogni mattina mi recavo al Colle dell'Orso, per gustare la magnifica
vista che offre tale sito, per fare un tuffo nella natura piu' pura incrociando greggi e mandrie allo
stato brado e per ossigenarmi all'ombra del secolare bosco che, come maestosa criniera, cinge il
Colle.
Lungo il percorso mi fermavo alla chiesetta di Sant'Egidio dove, dopo un attimo di
raccoglimento e la deposizione di una monetina nel piatto delle offerte ai piedi dell'altare,
scambiavo un saluto e qualche parola con Filippone, l'eremita, o con la moglie
Carmela.
Un giorno notai, accanto alla chiesetta, un uomo che armeggiava su di una lunga scala. Mi
avvicinai incuriosito.
Era Nicola [di Nezza, allora guardaboschi comunale.]
Mi disse: "Sono qui per salvare una famiglia di api. Il "favo" si e' formato sullo spuntone del
campanile. Rischia di essere distrutto. L'uomo per paura potrebbe aggredirlo. Bisogna rispettare
tutto quello che la natura ci offre altrimenti c'e' pericolo di rompere l'equilibrio naturale. Lo sa
che in greco "bios" significa vita? Se rompiamo l'equilibrio biologico distruggiamo la vita."
Lo ascoltavo rapito. La vicinanza con la natura mi fece sentire come uno degli ascoltatori dei
saggi o dei filosofi antichi. Rimasi in religioso silenzio ad ascoltarlo.
Quel giorno non andai ad ossigenare il mio corpo, al Colle dell'Orso; Nicola aveva ossigenato il
mio spirito.
Nicola non aveva erudizione scolastica, eppure aveva capito tante cose che molti uomini eruditi
non hanno ancora capito. Quando Nicola mi parlava forse non esistevano ancora movimenti
ambientalisti.
Scesi dalla montagna, quel giorno, piu' ricco. Ecco perche' quando penso a Nicola mi
commuovo, mi commuovo ancora, anche se sono trascorsi quasi trent'anni. Ed e' a distanza di
quasi trent'anni che voglio ripetergli: "Grazie, Nicola."
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